Un po' di compagnia...

Ho un nuovo amico!
E' arrivato più o meno due settimane fa. Ha raspato a lungo alla mia porta, prima che mi decidessi ad andare a vedere. A dir la verità ero certo si trattasse di un giallo. Non so il perché. Nella mia testa c'era l'immagine dell'inquilino del primo piano, in piedi, ciondolante sul pianerottolo che, con la punta delle dita, cercava di farmi impazzire. In effetti è un pensiero inquietante. Non credo nemmeno che il signor Comesichiama sia stato contagiato; praticamente vive sigillato, peggio di me, e non penso che da quel punto di vista possa correre rischi. Anche se ultimamente sembra essere svanito nel nulla...
Comunque sia, mi sbagliavo. Era un cane.
Il poverino era riuscito chissà come a superare il portone (e se volete sapere la verità, la cosa sul momento mi ha allarmato parecchio; guardando giù per la tromba delle scale ho visto però che, per fortuna, il portone era ben chiuso) e probabilmente ha seguito l'odore di cibo fino al mio appartamento. A due settimane, ancora non ho capito come abbia fatto a entrare. Era piuttosto malconcio, diverse ferite alle zampe, al muso e alla testa, ma nessuna profonda, e la prima cosa che ha fatto è stata leccarmi la mano...
L'ho chiamato Bosco.
Ora siamo in due a spartirci le scatolette per cani, anche se a lui piacciono decisamente più che a me. Le ferite stanno pian piano guarendo, ma sono dovuto andare fino in farmacia per procurarmi diverse cose. Già da un pezzo era in lista tra le cose da fare, nella mia cassetta del pronto soccorso mancava praticamente tutto, e l'arrivo di Bosco è stato lo sprone a decidermi. Ne ho approfittato anche per fare una piccola escursione, e devo dire che è stata un'uscita particolarmente interessante.
Il mattino dopo il suo arrivo, ho lasciato Bosco nella cuccia di coperte che gli avevo improvvisato nell'angolo della sala, ho infilato il k-way e, katana e zaino in spalla, sono andato. Passando davanti alla porta di Comesichiama mi sono finalmente ricordato di leggere il nome sul campanello: P. Barzanti. Per qualche secondo ho pensato di aver visto male.
Barzanti era anche il cognome di mio nonno (e, di conseguenza, di mia mamma). Nonostante a Forlì in diversi abbiano quel cognome, la coincidenza è a dir poco incredibile. Forse potrebbe essere addirittura un mio lontano parente, e non ci avevo mai fatto caso! Potete crederci? Sono rimasto interdetto da quanto però la cosa mi abbia lasciato indifferente... Dall'interno dell'appartamento non proveniva nemmeno un suono (e, devo essere sincero, da quel momento ho il tarlo nella testa che possa essere morto; come ho già detto, nemmeno l'ho più visto, e da questo a immaginarselo sul letto con le vene tagliate il passo è stato breve). Ma forse è solo andato via (e ciò potrebbe spiegare come il cane sia sgattaiolato dentro). Però non credo. Voi non lo conoscete, il caro zio P. Barzanti. Piuttosto che uscire probabilmente si lascerebbe morire di fame perché ha finito le scorte. E parlo al condizionale solo perché ancora non ho idea di che fine abbia fatto. Magari è solo molto silenzioso...
Ora, c'è una cosa che ancora non ho detto, ma stava piovendo (forse l'avrete intuito dal k-way), e anche parecchio. Aveva cominciato dal mattino presto e l'aria era intrisa dell'odore di ozono; dopo un'estate torrida come quella di quest'anno quasi non me lo ricordavo più. Il fatto che piovesse è stata la vera svolta della giornata!
Sono andato in bici. Volevo sbrigarmela il prima possibile e con quella avevo più possibilità di evitare qualche sgradito inseguitore. Al più presto, comunque, devo cercare di rimediare un po' di benzina...
Il tragitto fino alla farmacia è andato liscio oltre ogni aspettativa. In giro non ho incontrato praticamente nessuno. Ho dovuto sfondare il vetro per entrare, e ho perso un mucchio di tempo per raccapezzarmi tra gli scaffali e recuperare tutto quello che poteva servirmi: antibiotici, garze, cerotti, decongestionanti, disinfettanti, arnesi vari per suturare, antidolorifici... Ho trovato tutto. Evidentemente, in una città ridotta praticamente a un inferno sono cose che non servono poi a molto. Ho riempito lo zaino e sono uscito, e lì, fuori dalla farmacia, è successo qualcosa!
C'erano tre gialli. Un uomo, una donna e un ragazzo. Sembravano quasi un'allegra famigliola. Al momento mi sono pietrificato, ma poi... Il discorso è che si comportavano in modo strano e sul principio non avevo nemmeno capito. Il ragazzo stava vicino alla bici, fermo, sotto la pioggia ormai fitta... ma guardava verso la carreggiata. I genitori invece deambulavano sulla pista ciclabile come se non avessero una vera e propria meta. Sembravano quasi spaesati.
Ho estratto la spada e sono uscito, ma il ragazzo deve avermi sentito, perché si è voltato di scatto verso di me. Sono rimasto immobile e, incredibilmente, sembra che non mi abbia visto. Dopo qualche attimo si è girato nuovamente a scrutare la strada.
Ora penso di aver capito cosa può averli disorientati. Lo sapevate che i gialli fanno molto affidamento anche sull'olfatto, per trovare e riconoscere i non infetti? Io no, però poi ho fatto qualche ricerca su internet e così ho letto. Non so quanto l'informazione sia veritiera, ma questo potrebbe spiegare un sacco di cose, prima fra tutte il perché non si attaccano mai tra di loro...
Comunque sia, secondo me è stata la pioggia. La pioggia pulisce l'aria da tutti gli odori, questo è risaputo. Inoltre, per quanto forte pioveva, anche solo a pochi metri ogni cosa appariva nebulosa, sfocata. Il rumore era un sibilo intenso e avrebbe coperto a dovere il suono dei miei passi. Come se non fosse già abbastanza una manna così, era pure fredda, e il freddo, da quello che ho capito, rallenta i loro riflessi (anche questo l'ho letto in rete).
Sul momento queste cose le avevo solo intuite. Dopo aver rinfoderato il più silenziosamente possibile la spada e sbirciato la posizione dei genitori, mi sono mosso adagio verso il ragazzo e la mia bici. Gli sono arrivato a poco più di due metri senza che si accorgesse di niente. Ero terrorizzato. Se anche avesse solo intuito la mia presenza sarebbe stata la fine. (Cazzo, devo procurarmi un'arma da fuoco, a ogni costo!) Ma ero anche eccitato, in qualche modo. Ero praticamente invisibile.
Nel prendere la bici però ho fatto troppo rumore. Per via del fottuto k-way, che ha frusciato come fosse una busta di plastica. E questo l'ha sentito bene!
Non ci ha pensato su due volte. Ho incrociato i suoi occhi solo per un'istante, e subito è balzato verso di me. Per fortuna c'era la bici nel mezzo. Le ho dato una spinta verso di lui e mi sono buttato a sinistra. Dei secondi successivi ricordo solo il ragazzo steso, faccia a terra, i genitori che mi fissavano inquieti e già avevano preso ad avvicinarsi, e io che, con una lentezza che non vi dico, recuperavo la bici e mi mettevo a correre senza più guardare in faccia niente e nessuno. Sono salito in sella al volo e, per tutto il tempo, in ogni singolo istante di quella serie interminabile di istanti, ho avuto la certezza che mi avrebbero afferrato per il k-way o lo zaino e tirato in terra. Me lo aspettavo davvero, ma non è successo. Ho preso velocità sull'asfalto bagnato e sono letteralmente schizzato via.
Ora, non so quanto un cuore umano possa battere veloce ma, per farvi capire, credo di non essere mai andato tanto veloce in bici in tutta la mia vita.
Dopo essermi ripreso e calmato, ho fatto l'escursione di cui vi ho accennato e poi sono tornato a casa. Bosco mi ha accolto con una gran scodinzolata e un pungente odore di cacca. E bravo il mio amico! A tutt'oggi, sto cercando di insegnargli a farla quantomeno nella doccia e, vi dirò, non mi sembra nemmeno un'impresa troppo improbabile. Sono così felice di avere un po' di compagnia...
Cavolo, oggi ho scritto davvero tanto. Credo che dell'escursione vi parlerò un'altra volta. Anche perché, con tutta probabilità, non sarà l'unica. Ho alcuni progetti in mente per l'inverno...
Grazie a chiunque mi abbia letto. Mi farò risentire presto...

Non so perché, ma scrivo...


La situazione è degenerata rapidamente.
Il mio nome è Michele e vivo a Forlì, in un quartiere che si chiama Ronco. Se leggete i giornali saprete che la malattia, la “Gialla”, come la chiamano in molti, si è diffusa anche qui in Romagna, come c'era da attendersi. L'Italia, e il mondo intero, sono ormai nel caos.
Mi sono deciso a scrivere questa specie di diario per un sacco di motivi, e per nessuno che abbia davvero un senso. Girando per il web ho trovato altri come me, che fanno la stessa cosa. Forse lo spunto l'ho preso da loro. Forse lo faccio per condividere le mie esperienze di sopravvivenza in una città che sta velocemente precipitando nell'oblio. Forse lo faccio per solitudine, o per riempire i tempi morti, mentre all'esterno di casa mia sempre più di frequente sento urla, spari, a volte esplosioni... C'è un pennacchio di fumo grigio proprio davanti alla mia finestra, in questo momento, che si alza dal palazzo di fronte. Poco fa è passato un elicottero dei carabinieri, ma di quelli ne vedo sempre meno.
La gente viene infettata a un ritmo vertiginoso. Basta davvero un niente, una goccia di sangue, un po' di saliva, e diventi un giallo anche tu. Non subito, naturalmente, la trasformazione è lenta ma inesorabile. Più spesso però i contagiati ti uccidono. Sembrano essere assetati del nostro sangue, affamati della nostra carne... Perché non si mangiano tra di loro, mi chiedo io.
L'altro giorno mi sono arrischiato a uscire per fare un po' di scorte, cibo soprattutto. Il Conad di via Vassura era abbandonato, le vetrate infrante e la maggior parte della merce saccheggiata. Ho trovato un paio di cartoni di scatolette nel magazzino, dietro una pila di rifiuti, e qualche confezione di cibo per cani, ma di acqua non ce n'era più. Non mi fido di quella del rubinetto, però non posso fare diversamente; la faccio bollire a lungo, prima di berla, e spero basti. C'era uno dei contagiati, dentro al supermercato, una ragazza. Me la ricordo bene, faceva la commessa. Era sempre gentile e mi salutava con un grande sorriso tutte le volte. Ho avuto paura. Gli ho tirato addosso uno scaffale, quando si è avvicinata, e credo di averla uccisa. Non avevo mai ucciso nessuno... ma temo che col tempo possa diventare la routine. Che cosa triste. Si chiamava Romina, e dall'altro giorno tutte le sere non faccio che rivedere il suo sorriso, così luminoso e dolce...
Devo iniziare a organizzarmi seriamente. Devo procurarmi delle armi. I coltelli e la katana sono più un rischio che una protezione. Mi serve una pistola, o meglio, un fucile, e tante munizioni. Devo trovare gente in gamba con cui fare un piano di sopravvivenza, anche se, a cominciare dai miei vicini, tutti sembrano ormai diffidare di tutti. Ieri ho tentato di parlare con quello che abita al primo piano, nemmeno so come si chiama, e lui per tutta risposta mi ha chiuso la porta in faccia. Si isolano, per evitare il contagio, si nascondono come conigli, come del resto sto facendo io, attendendo chissà quale miracolo.
Se siete nella mia situazione, se siete dei sopravvissuti e leggete queste righe, vi invito a fare come me, a scrivere sul vostro blog o anche solo a commentare il mio e quello degli altri sopravvissuti; ho dedicato uno spazio nella colonna a sinistra a quei pochi che per ora ho trovato. Condividendo le nostre esperienze forse potremo aiutarci a vicenda e trovare un modo per uscire da questo incubo. Ma credo sia una speranza assurda. È che mi sento così demotivato, così solo...
Mi chiedo come stiano i miei amici, se siano ancora vivi. Paolo, Vanes, Chiara, Stefano... Nei prossimi giorni dovrò uscire per procurarmi altro cibo. Forse andrò a cercarli.
Ma ora devo staccare. Qualcosa, o “qualcuno”, sta grattando alla mia porta già da alcune ore. È un suono inquietante che non riesco più a sopportare. Bisogna che vada a vedere...

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